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Blog – Joe Assouline, i “bistrots parisiens”

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Amici romani, il 9 marzo, ore 18h30, presso la Galleria Fondaco di Roma, si terrà il vernissage del pittore francese Joe Assouline.

Per chi ama il “realismo poetico” delle “vite silenziose”, accorrete per ammirare i suoi famosi “bistrots parigini”, storici testimoni di storie personali e pubbliche, belle o drammatiche, talvolta commoventi, bistrots frequentati dalle persone più “chic”, come dai più tetri e tristi bassifondi, ricettacoli di mille storie disparati che si intersecano, si dimenticano o rimangono impresse per sempre nella Storia.

L'incontornabile "bistrot francese" splendidamente (ri)evocato, dove tutto quello che non si può è qui dipinto.

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Blog – Quanti-amano-l’operetta?

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Ho sempre amato l’operetta, in particolare la Vedova Allegra, di Franz Lehár, che ho avuto il piacere di interpretare numerose volte, in vari teatri lirici sotto diverse regie. Tant’è il mio ultimo spettacolo si intitola Allegra era la Vedova? e ne racconta le vicende tramite il suo primo protagonista, Louis Treumann, grande attore e cantante viennese dello scorso secolo.

Ma cos’è esattamente l’operetta? Considerata a lungo (ed anche oggi perlopiù) una sorta di “avanspettacolo”, quindi un genere minore, l’operetta tratta di temi sentimentali e/o giocosi, nonché di satira politica, dove la prosa si alterna alle parti cantati, unitamente a parti danzati ed altre corali. Caratteristica del genera è la sua ricchezza scenografica ed i risvolti narrativi improvvisi e spesso comici. Nata in Francia a metà 800 con Offenbach, l’operetta si è quindi diffusa in Austria, in Germania ed in Inghilterra, attingendo di volta in volta alle opere esistenti localmente del teatro musicale, o de “l’opéra bouffe” francese, alla ballad inglese ed il Singspiel tedesco.

Pura espressione della borghesia, a lungo snobbata dall’élite aristocratica, l’operetta ha faticato per decenni nei teatri di periferia, nelle cittadine di provincia, prima di affermarsi come genere artistico di tutto rispetto sino al suo culmine durante la Belle Epoque, periodo che coincide con l’espansione internazionale della borghesia e affermazione dell’alta borghesia industriale. Autori e compositori quali Lehar, Strauss, Silbert & Sullivan, per citarne solo alcuni, ne sono l’emblema. Molto interessante è poi la contaminazione tedesca il cui genere minori era allora il cabaret e ritmi di marcia, a sfondo intellettuale e satiro tipo di Berlino. Spicca su tutti Kurt Weill e la sua Opera da Tre Soldi, libretto di Bertold Brecht.

In Italia l’operetta faticò molto e visse prevalentemente di “importazioni” prima che compositori quali Costa, Ranzato, Pietri e Lombardo riuscirono ad imporre il genere, in un settore totalmente dualistico: la prosa drammatica e l’opera lirica: opere quali Paese dei Campanelli, Cin-Ci-Là, La Danza delle libellule, ne sono esempi di tutto rispetto. Fino agli anni 60, anche grazie ad una crescente teatralizzazione del genere, questo continua proliferare anche grazie ad artisti di prim’ordine quali Wanda Osiris, Anna Magnani, Erminio Macario, Gino Bramieri, Isa Barzizza e molti altri.

Sino a qualche anno orsono, la città di Trieste ha ospitato per molti anni un bellissimo ed importante “Festival dell’Operetta”, divenuta anche n’importante attrazione turistica. Oggi, purtroppo, in Italia, a turnazione in qualche teatro lirico, viene perlopiù rappresentata la “Vedova Allegra”, tutt’ora molto apprezzata dal pubblico, ma il genere sembra quasi abbandonato.

 

 

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Blog–Sfera Ebbasta–Basta con i finti artisti!

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Si è parlato tanto dell’incendio alla discoteca di Corinaldo in cui si stava esibendo certo Sfera Ebbasta. Non ho volutamente scritto alcunché a dicembre, nel clou della polemica, ma ora che si sono calmate le acque, desidero esprimere il mio punto di vista.

Questo cosiddetto artista appartiene al genere “trapper”, ultima evoluzione, o meglio in-voluzione, del rap, che si diletta a scrivere testi provocatori e volgari, inneggiando al sesso, ai soldi, all’alcol.

Alcuni gli hanno addirittura attribuito la colpa dei morti carbonizzati, in questa discoteca sovraffollata contro ogni regola di sicurezza: questo, a mio giudizio, è sbagliato. Un conto è scrivere e cantare roba oggettivamente brutta e moralmente discutibile, altra cosa è la responsabilità di una mala gestio da parte degli organizzatori del concerto.

Detto questo, ritengo invece che una vera e propria COLPA morale l’abbiano certa parte di mass media, quei “giornalisti”, “critici”, “articolisti”, nonché radio e emittenti vari che danno spazio a queste forme di espressione pseudo-artistiche.

Non si tratta di fare censura, né di essere bacchettone, ma nemmeno di fare l’IPOCRITA e/o l’intellettual-chic, per cui tutto si può dire e fare, in quanto spetta all’utente finale scegliere cosa ascoltare.

Se la censura è cosa sinceramente odiosa ed impensabile ovviamente, la continua proposta di oscenità pseudo-artistiche, totalmente vacue e diseducative, soprattutto per i giovani lo è altrettanto. E dare spazio mediatico a queste schifezze significa in qualche modo legittimarle, nonché, il passo è breve, riconoscere loro un “valore”: e questo è molto grave! Oggi giorno, è quasi impossibile non sentire queste brutture, anche se non lo vuoi: nei grandi magazzini, nei bar, nel taxi, in coda al telegiornale.

Non è del tutto vero quindi che una persona possa “scegliere” cosa ascoltare. Ed i mass media hanno, ahimè, un potere immenso in mano (ricordo il film Quarto Potere…), quello di filtrare e manipolare le informazioni da passare al pubblico e, da lì, inevitabilmente, influenzarlo, soprattutto se giovane, con poche alternative e punti di riferimento! Se nell’arco di 24 ore, il 90% della proposta promozionale e mediatica riguarda prodotti orridi, intanto siamo di fronte ad una sorta di dittatura a-culturale, ma soprattutto passa l’idea che l’intera produzione artistica sia racchiusa in questo 90% e che il 90% della popolazione ami e richieda questa stessa produzione…

Da lì i grande equivoco: “questo vogliono gli Italiani, questo diamo loro”.

Ebbene non è vero! Questo vuole una GRANDE MINORANZA di Italiani, ma una GRANDE MAGGIORANZA dei mass media e potenti produttori. Perché? Perché la provocazione, spesso totalmente sterile, fa audience e fare audience significa vendere più cari gli spazi pubblicitari.

Se questi ragazzini inconsapevoli fanno comodo ad un sistema di facile arricchimento, mi chiedo: ma i genitori, dove sono? Cosa insegnano ai propri figli? Chiedo loro:

Quale significato artistico (nonché morale) possono avere tatuaggi satanici sulle braccia?

Quale significato artistico (nonché morale) possono avere testi come “Mamma, devi stare calma se fumo qualche canna” o ancora “Hey troia! vieni in camera con la tua amica porca” ?

Quale significato artistico possono avere diamantini sui denti, pellicce fluo e foto con il dito medio all’insù?

Testi ed atteggiamenti come questi nulla hanno da spartire con l’arte e l’espressione artistica in generale, ma sono figli di una generazione incerta, preda ad una confusione culturale in cui prevale solo il proprio orizzonte personale, la ricerca spasmodica del proprio successo, ovvero di soldi, e la soddisfazione del proprio ego. "Artisti" che, soprattutto grazie all’appoggio di scaltri impresari e mass media di basso rango, vengono innalzati ad esempio, fors’anche a mito giovanile, quando dovrebbero umilmente tornare sui banchi di scuola e preferibilmente tacere…

La vera Arte non porta all’abbrutimento della coscienza, né deve essere per forza provocatoria. La vera Arte ti emoziona intimamente, innalza le tue vedute, ti rende generoso, consapevole ed abbellisce il tuo orizzonte.

Ho scritto questo post, da persona che vive di arte e di produzioni artistiche. Ma sarà il primo e l’ultimo su individui di questo tipo che ad altro non mirano: far parlare di se, a qualunque costo.

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Blog–dietro-le-quinte

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Oggi voglio parlarvi di cosa c’è dietro le famose “quinte”: in teatro, ma anche, seppure in modo leggermente diverso, in tv e al cinema. Si, perché sulle locandine, in tutta la promozione e pubblicità in generale, si parla quasi solo esclusivamente degli attori (o attrici) e poi del regista. Solo raramente, vengono menzionati tutta una serie di altre figure altamente professionali, senza le quali sarebbe impossibile andare in scena o fare un film.

Eppure, queste figure sono davvero tante: di base, più la produzione è grossa più sono numerose. Qualora parliamo di una piccola produzione, capita che due-tre ruoli vengano accorpati in uno solo: ed il tecnico deve avere quindi molte capacità e tanta flessibilità.

In teatro, una delle figure principe è il direttore di scena. Egli detiene la responsabilità dell’intero allestimento dello spettacolo, è profondo conoscitore di tutti i ruoli tecnici. Stabilisce gli orari, la metodologia di lavoro, rileva e sanziona eventuali inadempienze, tiene i rapporti con la direzione artistica, il produttore (ovvero il finanziatore) e la direzione del teatro.

Ovviamente vi è poi il regista dell’opera: dirige gli attori, decide se e come tagliare un copione, nei film decide le inquadrature, mentre in teatro stabilisce le entrate/uscite degli attori. In buona sostanza, funge da “autore” di un opera, anche se questa non è stata scritta da lui.

In teatro, esiste anche direttore di sala, ovvero dell’ambiente teatrale, ma anche della cassa, delle mascherine, del guardaroba, della sicurezza, dell’eventuale bar: insomma assicura l’accoglienza ottimale degli ospiti.

Quando siamo di fronte ad un opera cantate, subentra la figura del direttore musicale il cui ruolo è interpretativo: sceglie l’andamento, i tempi ed indirizza i musicisti, stabilendo gli ingressi delle voci. A volte è affiancato dal vocal coach, che prepara i cantanti seguendo le indicazioni del direttore musicale.

Altro ruolo essenziale è quello dello scenografo: crea tutti quegli elementi di scena atti a creare l’ambiente in si svolge l’azione scenica, sempre raccordandosi il regista, assecondandone le esigenze. Un buon scenografo è esperto in disegno, pittura, scultura, architettura e grafica, conosce bene i vari materiali e ovviamente ha solide basi per creare effetti di prospettiva.

Il costumista disegna e scegli gli abiti di scena, di concerto con il regista e lo scenografo.

Il coreografo invece cura le coreografie dei ballerini/danzatori.

Un tecnico da me molto apprezzato quando è bravo, è il cosiddetto light designer: colui che disegna il piano luci, sempre concertandosi con il regista e lo scenografo. Crea effetti speciali, ambientazioni particolari, controlla coordina tutte le luci dello spettacolo. E’ coadiuvato dal tecnico luci, in sostanza l’elettricista del teatro che monta gli impianti e segue il sistema di illuminazione durante l’intera rappresentazione

Vi è poi l’ingegnere del suono o il sound designer: esperto musicale, di tecnologia e di acustica, coadiuvato dal fonico, sorta di elettricista esperto di impianti audio (amplificatori, microfoni, mixer, registratori, e così via).

Altra importante figura è quella del truccatore: il truccatore di teatro deve spesso essere in grado di evidenziare specifici tratti somatici per via della grande distanza tra l’attore ed il suo pubblico, cosa che non accade in ambito cinematografico

Il parrucchiere: gestisce le parrucche e deve conoscere le varie “acconciature” storiche.

Il compito dell’attrezzista è quello di gestire gli arredi, gli oggetti ed altri piccoli materiali (per opposizione alla scenografia) occorrenti in scena. Ad esempio: il vasellame di una tavola imbandita…  E’ un mestiere artigiano, in quanto deve realizzare e/o modificare oggetti secondo le esigenze dello scenografo e del regista.

Dal canto suo, il macchinista monta, smonta e sposta gli elementi scenografici. Assomiglia ad un piccolo ferramenta ambulante, sempre attrezzato con cacciavite, chiodi, martelli e simile. E’ anche colui che si occupa delle varie eventuali corde su cui attaccare gli stangoni per appendere fondali e quinte. 

Infine, il videomaker e fotografo: curano personalmente le riprese e gli scatti fotografici dello spettacolo, mentre il montatore, come lo dice la parola stessa, “monta”

Credo di non aver dimenticato nessuno, se non il finanziatore…. J , senza cui nessuna delle persone sopra elencate lavorerebbe, mentre l’amministratore controlla la quadratura delle  entrate e delle uscite!

Insomma, cari amici, questo per darvi un’idea di quanto “materiale umano” vi sia dietro uno spettacolo e ancor di più dietro un film (come il casting od il location manager).

Quindi, un grazie di cuore a tutte queste importanti, essenziali, figure professionali all’ombra dei riflettori e quasi sempre disponibilissime ed affettuose.

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Blog – lo Scugnizzo napoletano

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Pezzo storico, la “rumba d’’e scugnizze” è stata scritta ed interpretata da Raffaele Viviani ed è oggi un pezzo emblematico. Ma chi era lo Scugnizzo?

Berretto di traverso, impertinente, giocatore di “strummolo” e con un mozzicone di sigaretta tra le labbra: questo, nell’immaginario, l’immagine dello “scugnizzo”, termine rimasto nella lingua napoletana come simbolo di un passato nemmeno troppo lontano, che qualifica quei ragazzini indisciplinati, scanzonati, per nulla avvezzi allo studio, veri monelli viventi di accattognaggio e quindi ignoranti intellettivamente ma che molto hanno capito della vita di strada…

L’etimologia del termine è poco nota, anche se l’ipotesi più accreditata è quella di Ferdinando Russo: lo strummolo (la trottola), trattandosi di un gioco tra due partecipanti circondati da spettatori coetanei, è immaginabile che, all'inizio della "partita", qualcuno di questi si sia chiesto: "chi 'o scogna, chisto o isso?" e che a tale interrogativo sia stato risposto: " 'o scogn 'isso!". Termine ante litteram trasposta in scugnizzo'!  

Dello scugnizzo, il volto più famoso è rimasto sicuramente quello di Raffaele Viviani che, nel 1938, con “L’ultimo scugnizzo”, conquisterà la fama al cinema. Un personaggio piuttosto tragico, anche se rimane gioiosi e sarcastico nei confronti del mondo che lo circonda.  Questo personnaggio diventa popolare nel teatro di Viviani e ottiene l’attenzione di molti intellettuali.

Lo scugnizzo di Viviani è molto vivace, compie sulla scena capriole, atti pittoreschi, burle e rispecchia profondamente le sue origini e il suo modo di essere un ragazzino monello e sfacciato.

Da questa visione dello “scugnizzo” napoletano nasce un bellissimo canto popolare che unisce a se un genere esotico quale la rumba, danza afrocubana nata nel 1920 circa.
Con l’esibizione di questo bellissimo canto popolare, l’attore unisce lo spirito napoletano a quello africano. 

Qui appresso una bella interpretazione della “rumba degli scugnizzi”, tratto dallo spettacolo Novecento Napoletano, in cui sono protagonista, per la regia di Bruno Garofalo, ma non nella predetta rumba. La videoclip è tratta da "900 Napoletano LIVE" Prodotto da Euromedia Napoli | Luigi Passariello Editore

Informazioni sullo spettacolo "Novecento Napoletano"

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Blog-senso civico a Roma

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Oggi voglio parlarvi di un bel movimento ahimè necessario, se non fondamentale, in una città degradata come Roma: Retake Roma. Si tratta di un’organizzazione di cittadini, apartitica, no profit, impegnata nella lotta contro il degrado, nella valorizzazione dei beni pubblici e nella diffusione del senso civico.

Prima di Natale, ho passato una mezza giornata al Parco Nemorense dove porto spesso mio figlio. Con un buon centinaio di volontari, di ogni fascia di età, si è provveduto a sistemare panchine rotte, dipingere quelle piene di graffiti, raccogliere cartacce, mozziconi e tappi di birra, aggiustare e/o consolidare i giochi per bambini, cancellare le scritte sulle colonnine di marmo e quant’altro. Abbiamo iniziato alle 9h30 e già verso l’ora di pranzo il parco aveva cambiato aspetto.

E’ stato un gran da fare a cui sono stato veramente felice di partecipare, coinvolgendo mio figlio rimasto entusiasta di questa sua nuova esperienza che ripeteremo sicuramente. Il mio sentimento in merito si rivela invece contrastato: da una parte la felicità nel costatare che esistono molte persone disinteressate, dotate di grande senso civico, generosità e (com)partecipazione alla tutela del bene comune, desiderose di trasmettere questi valori ai più giovani. Dall’altro, sento una grande tristezza in quanto tale atteggiamento dovrebbe essere innato, o quantomeno logico, soprattutto per un giovane adulto, l’unico possibile per la valorizzazione e tutela di una città meravigliosa come Roma; la mia delusione quindi è grande verso i tanti cittadini incuranti, menefreghisti, che vedo ogni giorno sporcare la città, mentre rimango allibito di assistere, da anni, ed indipendentemente dal partito di turno al potere, all’assoluta incapacità della politica di intervenire in modo deciso per dare a Roma quel decoro che merita.

Non basta infatti vantare 2000 anni di storia e relativi reperti storici, occorre preservarli, farne usufruire i tanti turisti che vengono da ogni parte del mondo, ma anche e soprattutto rendere la nostra città accogliente, pulita ed efficiente per tutti, alla pari di altre grandi capitali europee quali Vienna, Berlino, Praga, Londra o Zurigo ad esempio

PS. E non mi si venga a dire che è un problema “numerico”: perché Central Park, a NY, è pulitissima. Ed a NY, di certo, ci sono molti abitanti e molti turisti!

 

Pagina Facebook Retake Roma

Sito Retake Roma

Parco Nemorense

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Blog-Quando-ci-lascia-un-vip

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Come molti, anzi tantissimi, sono ormai sui socials, facebook, instagram, su youtube e curo alla meno peggio questo modesto blog. Noi artisti viviamo di “visibilità” e sono in tanti che mi hanno esortato a farlo: e devo dire che sono loro grato. Da quando sono più presente sulla “grande rete”, ho in effetti un seguito maggiore, anche contatti da parte di operatori e nuovi “fans”: insomma il risultato è positivo, almeno sino ad ora.

Tutta questa premessa, quindi, per sottolineare che comprendo l’esigenza della visibilità personale, soprattutto per un artista. Tuttavia, sono e rimango contro la ricerca visibilità ad ogni costo, anche da parte di molti colleghi, e soprattutto in caso di decesso di un “VIP”. Una cosa in particolare mi infastidisce veramente tanto: l’ipocrisia.

Ci sono persone che per anni parlano malissimo di qualcuno, persino lo osteggiano se possono, insomma, hanno un atteggiamo dichiaratamente ostile. Muore questo qualcuno ed ecco a pubblicare una foto del defunto, magari proprio un selfie con lui, a scrivere auguri di “buon viaggio”, espressioni commosse e a raccontare un aneddoto che lo riguarda. Perché???

E vi assicuro che sono in tanti a farlo! Negli ultimi anni, sono molti i colleghi che ci hanno lasciati ahiné. Chi dal carattere notoriamente dolce, remissivo e generoso, chi dall’atteggiamento notoriamente saccente, meschino ed opportunista. Inutile prenderci in giro: in questo mondo, ci sono persone che riteniamo buone o cattive, altruiste oppure aride. Ed ognuno di noi lega con chi più sente vicino a sé. Ora, se una persona non lega affatto con un qualcuno trovandogli mille difetti e parlandone male per anni, perché ritiene di doverlo quasi osannarlo da morto con tanto di foto, cuoricini e fiorellini vari su facebook???

Ditemi voi…

 

 

 

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Blog-il-buon-regista

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Figura fondamentale per noi attori, in tanti anni di carriera ho avuto il piacere (ma anche il dispiacere a volte ahimé…) di lavorare con tanti registi: sia in teatro, al cinema che in televisione. Con alcuni, un feeling immediato, con altri un disagio profondo, nonostante mille sforzi. In questi giorni, mi sono quindi posto una domanda: quali sono le caratteristiche di un buon regista? Certo, mi potrete dire che la questione è di natura personale: ma qui non voglio parlare di “carattere”, ci sono delle persone infatti con cui si va istintivamente d’accordo ed altre no. Non è questo il punto: non parlo del “tipo introverso” piuttosto che del maniacale o del depresso. Vorrei invece elencare una serie di elementi oserei dire “oggettivi”.

Innanzitutto, un ottimo livello culturale. La conoscenza del testo, dell’intertestualità, del contesto socio-culturale storico in cui si svolge una storia e che porta ad avere una ampia visione del testo, di collocarlo in modo ottimale, dandogli una sua funzione: una "Weltanschauung" che sia di ampio respiro.

Un buon regista, poi, dovrebbe avere a mio giudizio una buona dose di self-control, ovvero di pazienza: sul set in particolare, ma anche durante le prove in ambito teatrale, i tempi morti e quindi di attesa sono lunghissimi ed i disguidi frequentissimi (assenza della luce desiderata, problemi con un microfono, il ritardo di una persona, un cavo che non funziona e chi più ne ha più ne metta): pertanto, è fondamentale che il regista mantenga la calma, non stia sempre a guardare l’orologio pressando l’attore a recitare a velocità accelerate.

Al buon regista occorre avere anche una buona dose di psicologia e di empatia: intendo la capacità di identificarsi, calarsi totalmente nella struttura mentale dell'attore che sta dirigendo, per ottenere così il massimo della resa interpretativa. Mai aggressivo anche se, in alcuni casi specifici (e solo chi ha una buona psicologia lo capisce) "strattonare" l’attore nel momento giusto può servire per fargli tirare fuori precise emozioni.

Il buon regista è umile: egli è consapevole di essere parte di un tutto, ma di non essere IL TUTTO e che solo il lavoro collegiale in serenità porterà validi frutti.  

In sostanza, un buon regista deve essere intelligente. Di quella intelligenza dalle molteplice sfaccettature: un’intelligenza intellettuale, emotiva, ma anche d’animo e comportamentale.

Qui in una foto con Jan Peter. Sicuramente un buon (ed è dire molto poco…!) regista.

 

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