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Blog – i miei amati cappelli

Ho sempre amato i cappelli: li indosso in tutte le stagioni, in qualsiasi momento della giornata. Ne ho talmente tanti, che quasi non entro più in casa! Qui sotto una delle mia collezione particolare di cappelli di sartoria: potrei anche venderla, se qualcuno fosse interessato.

Difficile che esca da casa senza un cappello. Il cappello racchiude un mondo di significati più disparati. Quello del saluto ad esempio, alzando leggermente il cappello chinando il capo; oppure del rispetto: entrando in Chiesa, ci si toglie il copricapo.

In molti paesi e in culture diverse dalle nostre, il cappello indica una distinzione di tipo etnica e religiosa: i turbanti, oppure i cappelli mongoli, ma anche quelli cinesi ne sono un esempio. In Occidente, il cappello evidenzia uno status socio-culturale: un contadino non porta un cilindro…. Un Lord inglese non porterebbe una coppola siciliana od una paglietta contadina.

Sempre a segnare uno status sociale, pensiamo ai cappelli degli antichi romani: uno schiavo liberto indossava il cosiddetto pileus o un berretto frigio, lo stesso indossato poi dai galeotti marsigliesi durante la rivoluzione francese, simbolo di libertà. All’opposto, esiste il berretto del carcerato.

Ma il cappello può anche e semplicemente sottolineare uno stile personale: in fondo trattasi di un accessorio che, aldilà di una funzione originaria puramente utile, ovvero quello di evitare il raffreddamento della testa, completa l’abbigliamento, conferisce originalità e/o ricercatezza.

Anche nei miei spettacoli ci sono spesso cappelli: seri, eleganti, folli, ironici, ridicoli e grotteschi o banali, volti a completare la rappresentazione del personaggio.

 

Ultima modifica ilMercoledì, 25 Ottobre 2017 08:05
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