Blog-il coraggio
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Negli ultimi anni, soprattutto all’estero, sento spesso parlare di “prove di coraggio” inflitte a managers di grandi società: spesso si tratta di fare un salto in bungee jumping oppure di attraversare vallate su ponti sospesi.
Accade che alcuni di loro non siano per nulla sportivi, forse anche in sovrappeso, che abbiano timore del vuoto o che, semplicemente, non “se la sentono”: ciò malgrado, se non si sottopongono a tali pratiche, il loro avanzamento in carriera risulta compromesso.
Insomma, lo scopo è quello di testarli, di capire la loro capacità di far fronte al pericolo, di affrontare sfide e paure, facendo una semplice equazione:
passare su un ponte sospeso = coraggio = migliore risulta professionale
Personalmente, trovo questa pratica odiosa, quasi assibilabile ad una tortura!
Oggi giorno, in epoca di selfie continui, di “grande fratellizzazione” della nostra vita, il coraggio viene equiparato ad un’azione eclatante dove si sfida la morte.
Ma siamo proprio sicuri che questa sia l’unica forma di coraggio? E siamo proprio convinti che chi decide di restare più a lungo possibile sul tetto di un treno in corsa prima di mettersi a pancia a terra all’arrivo del tunnel, sia la persona che meglio gestirà il personale di un’azienda? Che farà triplicare gli utili di una società? Che meglio capirà le tendenze di mercato?
Il coraggio si esplica in mille sfaccettature ed una di queste, forse, mi tocca di più: il coraggio silenzioso, quello che non presuppone la forza guerriera, ma è il coraggio della necessità, della quotidianità, nel perseverare con intima convinzione e coerenza della bontà delle proprie azioni, anche quando vieni deriso o ignorato, anche quando sei triste e malato; è il coraggio di essere se stessi, dando un senso alla propria vita e con umiltà, senza omologarsi, né per opportunismo né per debolezza.