Blog – sono molto arrabbiato, seguito…
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Sono rimasto molto colpito da quell’episodio sull’autobus, descritto nel post del 28 ottobre (clicca qui per leggere il post), e dalle altrettante numerose risposte e commenti ricevuti, anche in privato.
Ho riflettuto molto in questi giorni, mi sono documentato e ho parlato anche con una professoressa di storia, arrivando – forse e senza presunzione di “verità” – ad una possibile spiegazione su quanto chiamerei “l’origine del nostro male sociale….”. Parto quindi da alcuni aspetti storici che sono a mio giudizio fondamentali per capire come siamo arrivati qui. Di certo, la prima guerra mondiale ha segnato “il prima dal dopo”, tra valori comunemente accettati dalla società ed il rifiuto degli stessi. Non a caso, lo storico Norman Cantor ha affermato: “Visto che politici e generali hanno trattato milioni di persone affidati loro come carne da macello, quali princìpi religiosi ed etici avrebbero potuto poi impedire agli uomini di trattarsi a vicenda con la ferocia degli animali selvatici? Il massacro della prima guerra mondiale ha totalmente annientato il valore della vita umana”.
“Il valore della vita umana”: questo è, secondo me, il punto focale di quel momento di rottura.
Bastarono quindi 2 generazioni per portare alla crisi del 68 e vederne le ricadute ancora oggi.
Un film precursore che stigmatizzò bene tale momento fu probabilmente Gioventù Bruciata, del 1955, il quale ben ha dipinto la generazione post-bellica, l’immagine di una disillusione collettiva dinnanzi ad un’intera civiltà decadente.
Infatti, il decennio 50-60, caratterizzato dal boom economico occidentale, ha avuto esito con gli eventi sessantottini che sembrano simili tra Est (Repubblica Ceca –allora Cecoslovacchia) ed Ovest (USA, Berlino-West e Francia), ma le cui origini e giustificazioni sono molto diverse. In Cecoslovacchia era innanzitutto la volontà di maggior libertà da parte degli studenti, di cui erano stati privati. Nei paesi occidentali, invece, l’economia era florida e la libertà di espressione quasi totale. Pertanto, la reazione fu più quella di giovani viziati. Infatti, Tom Hayden, nel Manifesto del SDS, nel 1962 scriveva: “noi che apparteniamo a questa generazione, noi a cui niente manca, noi che siamo oggi all’università, proviamo un certo malessere per ciò che abbiamo ereditato”.
Invece di attenuare questa “cattiva coscienza”, alcuni ebbero interesse ad aggravarla. Dalla fine della guerra, i dirigenti della propaganda marxista avevano capito che i loro sforzi dovevano concentrarsi sulla generazione che NON aveva conosciuto la guerra e lo stalinismo. Ora non c’è tempo di soffermarsi su chi e come ebbe interesse a generare il clima che portò al 68 - ciò potrebbe essere oggetto di un altro post -, ma di certo le conseguenze della crisi del ’68 ancora si risentono oggi.
Maggio 68, la rivoluzione dei figli del benessere e delle élites, ci ha infatti portato al relativismo intellettuale e morale. Parlare di morale, oggi, suona desueto, ridicolo…. vero?
La conseguenza del 68 è stato l’annientamento della sana gerarchia dei valori: o meglio, “tutto vale”, non vi è differenza tra il bene e il male, tra il vero e il falso, tra il bello e il brutto; l’allievo equivale al maestro, occorre abolire i voti, le classifiche vanno abolite. La vittima vale tanto quanto il delinquente (e la giustizia spesso avvalla tale teoria ahimè), ogni gerarchia dei valori è quindi superata. L’autorità, l’educazione, il rispetto: tutto inutile, finito. Nulla più è grande, ammirevole sacro, nessuna regola, nessuna norma, nessun divieto.
Sulle mura dell’Università della Sorbona, scritto a caratteri cubitali: « Vivre sans contrainte et jouir sans entrave. », Vivere liberamente e godere liberamente. Ecco il motto. Solo diritti, alcun dovere!
Così, - cosa terribile - il concetto della meritocrazia, la scuola in cui si insegnava il senso civico, il rispetto, una scuola in cui si insegnava ai bambini a diventare adulti e non a rimanere bambini, significa ora “costrizione”, vincolo. Ci hanno insegnato che non dobbiamo più “soffrire” per conseguire un obiettivo, che siamo tutti dei Mozart e che abbiamo tutti il diritto di arrivare ai massimi livelli! Certo, il diritto deve esserci, ma di certo non siamo tutti geniali né siamo tutti uguali! E chi non ha le caratteristiche per ricoprire un determinato ruolo non dovrebbe nemmeno avere il diritto di accedervi: questo a tutela della società!
Peggio, ora abbiamo anche l’alibi: “inutile che studio, tanto poi non trovo un lavoro adeguato”! L’abbassamento conseguente dei titoli di studio è terrificante: la laurea di oggi, è quasi equivalente alla maturità di 50 anni fa. Ora sono tutti laureati: chiunque ottiene la laurea. E questo NON perché siamo diventati tutti intelligenti o perché siamo tutti istruiti, ma perché il livello si è terribilmente abbassato; perché si può ripetere 10 volte un esame, perché si può studiare sino a 35 anni (ovviamente a spese della collettività!).
A tutto questo, si aggiunge, dalla fine degli anni 1990, un impoverimento economico legato al predominio della finanza sull’economia reale e ad un mondialismo senza regole, giustificato solo dalla corsa al profitto: una catastrofe!
E’ strano dire questo da parte di una persona che ama il progresso, ma credo che – forse nella prima volta nella storia – il vero progresso sarà di tornare a quei valori, a quelle regole civili e sociali d’un tempo e ad alcune costrizioni educative!
Compiere un passo indietro per fare un passo avanti. E velocemente, prima che sia troppo tardi; ma forse è già troppo tardi…